venerdì 29 aprile 2011

Stessi Occhi

Poesia del 1983 di un anonimo irlandese, traduzione mia.



Se dinnanzi a questi stessi occhi,

riposavi in pace, stessa mira
su la cosa che vogliamo in pochi
lurida discende, solitaria tira
La linea che segna ill confine,

istante stesso prima della fine.


falce va giù! poi non si respira,

gelo e affanno van sui fuochi
freddo o caldo l'attimo che vira
vuol silenzio nella nostra pira
il vallo è superato assai

dì infelice che non rivivrai

Ora tu, non negare che ti stringa,

forte marchia incandescente verso
ogni spasmo muscolare, e vinca
ogni tuo moto, andato perso
puoi salvarti solo negli arrocchi

te lo lessi negli stessi occhi.

giovedì 21 aprile 2011

Chi dice "cosa"?

Vista la difficoltà nel trovare chiavi lettura oggettivamente valide, mi spingo un "anticchia" oltre il bordo per osservare meglio.
Ho preso in mano "il Messaggero", e l'ho sfogliati. Ho anche letto alcuni articoli, pochi per la verità, ed è normale, visto che informarmi non era il mio obiettivo. Nemmeno fare una lettura critica era tra i miei obiettivi. Anzi non avevo affatto obiettivi. Ho preso un giornale in mano, in un bar, e gli ho dato un'occhiata. se decido di comprare un quotidiano, compro il corriere, e se leggo l'editoriale, mi viene da sorridere. Non do molta importanza agli editoriali, perché secondo me sarebbe uno sbaglio. Ed è questo il punto: l'auto-referenzialità. Mi dispiace dirlo, ma non bisognerebbe più comprare i giornali esistenti a oggi. Dovremmo farne di nuovi, noi giovani e meno giovani, e venderceli per i fatti nostri. Il Messaggero dicevo. Chiunque abbia studiato anche minimamente Giornalismo sa che l'impaginazione e la scelta delle scalette, delle gerarchie e dei valori notizia, danno dei ragguagli molto precisi sulle strategie di un quotidiano. Politica a parte, il bello del gioco sta nella cronaca. E qui torna il discorso di prima. I giornali stampano le prime sei pagine occupate da cronaca politica per poche categorie di persone: I politici e gli altri giornalisti (ossia i diretti interessati) rappresentano un'ottanta per cento, a mio avviso, del totale dei lettori di quelle pagine. nel rimanente venti troviamo gli studenti e (forse) qualche lavoratore in qualche periodo particolare della vita pubblica (rinnovo di contratti, trattative sindacali ecc..). Ecco perché le carte si scoprono altrove.
Il mio cervello assimila l'impaginazione molto velocemente, sarebbe impossibile una simile velocità nel processo di lettura ed analisi. Oggi un articolo parlava del fenomeno dei Bar gestiti da Cinesi nella capitale, sopra c'era una notizia un attimino più importante, e la pagina, già di per sé frivola, andava forse alleggerita. Basta così col Messaggero, è solo l'episodio che conta.
Tra le percentuali che ho ipotizzato sopra ci sono gli studenti. I miei colleghi di Facoltà, dovrebbero occuparsi di giornalismo. Certo i più dotati e gli interessati. Certo a studi finiti e dopo un apprendistato. Ma dovrebbero.
Esiste una sorta di club privato dei canottieri sul Tevere, un circolo di élite di giocatori di canasta, si chiama "Ordine dei Giornalisti" e al suo interno ci sono i giornalisti, ovviamente. Se fosse sempre e comunque sbagliato generalizzare, non si potrebbe scrivere di nessun grande partito o di nessuna istituzione, perché al suo interno è lecito che anche nel peggiore dei casi ci possa essere un buon numero di persone degne ed oneste. Ma io parlo del concetto di club, di circolo, di élite, e poi puntualizzo sull'individuo, descrivo delle regole base e origino una "casta". Non è così, o meglio non solo.
Mentre tutti dicono a tutti cosa va o non va fatto, noi ci rendiamo conto che questa cosa non va affatto.

Mi rivolgo ai miei colleghi, perché spesso li vedo infervorati a discutere su quella firma o quella scarpaccia senza suola, e me ne dispiaccio. Alcuni sentono il bisogno di avere dei punti guida, dei riferimenti. Ed è giusto. Ma poi vivendo, li devi oltrepassare. Questo andare oltre arriva quando sperimenti nella vita le tue capacità, e commisuri i risultati con le possibilità avute, dai dei valori, e ogni tanto ti lecchi le ferite. Gli intellettuali sono morti dopo dio e Marx (scusate se non scrivo in minuscolo anche il secondo), ma Io mi sento particolarmente in forma.
A tal proposito parlavo a un mio caro collega, che stimo molto, della "Democrazia del grande fratello" di Chomsky, il quale svela, non dico il trucco, ma perlomeno qualche meccanismo del trucco. E si parla della stampa presa ad esempio da noi in Italia, cioè quella liberal americana. Ne scriverò più approfonditamente in un'altra occasione perché ora voglio chiudere. Se i giornalisti stanno in un circolo e scrivono (maggiormente) per loro stessi e la classe politica, perché devono essere considerati oltremodo autorevoli, da noi, che nel circolo probabilmente non potremo entrare mai? Perché il circolo non viene aperto? Perché il circolo esiste? Scrivere è considerato così incredibilmente sofisticato? Io non sto forse scrivendo? L'ordine mi protegge da notizie false e scorrette interpretazioni? non credo. Perché non posso fondare io un nuovo circolo? Potrei chiamarlo "Ordine degli informatori", oppure "movimento di chi prima pensa e poi scrive", e via a stampare giornali, fogli, biglietti, magazine, raccogliere pubblicità, accreditarmi qui, socializzare là. Ah ecco. Ecco perché.

Ho male agli occhi, non rileggo.

Chi è allo specchio?

Ulisse, "lo zoppo", o Odisseo, "Colui che odia" ovvero "Colui che è odiato", appartiene a un filone di eroi che ha molte caratteristiche in comune. Innanzitutto il motivo della ferita alle gambe, poi la parte liquida, ad esempio l'acqua del mare o dei fiumi, infine le figure femminili. Voglio subito mettere in chiaro una cosa: non sono assolutamente in grado di scrivere un dizionario del mito greco o di dissertare tranquillamente su questa o quella versione.
Ma voglio procedere con ordine.
Ulisse, lo zoppo, riporta una ferita alla coscia durante una battuta di caccia in giovinezza. Achille ha un unico punto debole, il tallone. Edipo "Piedi gonfi" ha i talloni feriti, perché immobilizzato in vista della sua uccisione, a causa di una profezia che poi si avvererà.
Ulisse e l'acqua, il mare naturalmente, ma anche il fiume, la sua discesa nelle profondità dell'ignoto. Achille e il mare, al cospetto del quale, immobile, nell'inazione, attende la madre,in lacrime (tutti i liquidi sono importanti se fluiscono) oppure Achille e il Fiume, col quale combatte, sfidando la potenza degli dei.
Ulisse e Penelope. Achille e Teti. Edipo e Giocasta. Donne, divine e mortali. Corpo di dea e spirito di cagna, come Elena, la madre di tutte le donne mortali, associate ora alla quiete del focolare domestico, quando tessono e cantano, ora al caos, quando il loro canto è diverso e come quello di Circe, è sovrumano.
Le gambe e i piedi, le acque di mari e dei fiumi e le donne, siano esse madri amorevoli o incestuose, mogli fedeli o divinità dalla tristezza che imprime terrore. Tre motivi che annotiamo e di cui dobbiamo solo tener conto per comprendere la grandezza degli eroie la possibilità offertaci dal mito.
Quando Ulisse torna a Itaca, Atena lo traveste, lo rende irriconoscibile. Da un'altra prospettiva sono gli altri a essere ciechi, resosi tali da loro stessi, dalla loro incapacità di vedere, confusi come sono dall'avidità e dall'ambizione.Forse non hanno mezzi necessari al riconoscimento. Forse hanno gli occhi ammantati da una nebbia naturale (ma anche divina). Invece no. Che i segni ci siano per riconoscere Ulisse ce lo dimostra Euriclea, vecchia nutrice di Ulisse, che nell'atto di tergerlo (etimologicamente: ripulire e asciugare sfregando) scorge in lui la cicatrice sulla coscia e lo identifica. Donna (madre), acqua, gambe.

Ulisse libera il suo palazzo dai Proci e lo fa compiendo un massacro triste e necessario. D'altronde l'immagine di un Ulisse buono e furbo è diversa da ciò che si ottiene in lettura. Più volte sfrontato, avventato, riportato alla calma e al pensiero razionale da interventi calati dall'alto, privilegiato depositario di consigli e attenzioni della più potente fra le dee del pantheon greco, Ulisse, provocò la morte di molti compagni, cadendo in trappole e imboscate. Non è un dio, è un uomo. Un uomo che ha a che fare con divinità come Poseidone, stando in mare e sopravvivendo. Liberato il suo palazzo afferma il principio di successione patrilineare, su quello delle linee claniche, si batte per un potere terreno, materiale, ma anche per un principio, nella grandezza delle ambivalenze. Dunque è umano, ma poteva diventare un Dio. Calipso glielo propose (Donna divina), lui rifiutò. La madre lo liberò dagli ultimi dubbi (Donna mortale, anzi morta) donandogli una consapevolezza che lo portò al pianto (l'acqua che torna a fluire).
Tiresia aveva predetto secondo alcuni, che la sua morte sarebbe venuta dal mare (dall'ignoto, da lontano), per altri per mano del figlio stesso. E così fu in effetti.
Quando Ulisse muore, lo fa per mano di suo figlio Telegono, avuto con Circe (Donna dal canto sovrumano in quanto maga), che lo manda alla ricerca del padre. Ma padre e figlio non si riconoscono, Il primo vede il secondo come un assalitore della costa itacese, e per difendere quel diritto di regalità affermato lo affronta. Il secondo non riconosce il padre né l'isola di Itaca, forse per colpa di una nebbia fitta (di nuovo l'incapacità di vedere, di distinguere, ricordiamo che Tiresia è cieco per aver visto le Atena nuda, quindi per "aver visto troppo"), e lo infilza con una lancia che ha per punta aculei di razza avvelenati. Ecco la morte che viene dal mare, o da lontano, o per mano del figlio. Ulisse muore e discende nell'Ade, dove probabilmente rincontrerà Achille, disgustato dello status di "eroe morto", lo stesso Achille che all'eroe di Itaca aveva confidato che avrebbe preferito vivere come un povero agricoltore piuttosto che essere morto, rinnegando quindi la sua folgorante vita eroica.
Penelope piange il marito e Telemaco la consola: assieme al figlio e al figliastro si reca sull'isola di Circe ove Ulisse viene seppellito. Telegono sposa Penelope, Telemaco sposa Circe, a tutti e quattro ascendono al rango di immortali, acquisendo dunque quel requisito che Ulisse aveva rifiutato anni prima. Penelope, la savia è incestuosa? No, manca l'elemento di continuità per poterlo affermare. é anzi onorabile, si sacrifica per il marito defunto, sotto un certo aspetto è la stessa savia Penelope che tesse fra le mura del palazzo.
Tutti i motivi ritornano prepotentemente nell'ultimo viaggio dell'eroe, dall'acqua alla donna, dalla ferita all'errore tragico.

La società descritta dal mito appare ancora oggi attuale, oltre che interessante. Politicamente, prima della Polis, le condizioni potevano essere migliori per le donne, ad esempio. Il loro canto e la loro azione avevano dei luoghi deputati si, ma potevano prorompere all'esterno, a patto di perdere quell'umanità femminile. Le ferite, con le quali si iniziavano le fondazioni di città, sono sintomatiche del tipo di economia diffusa, rappresentano l'aratro che entra nella terra e la apre. Il seme è un elemento liquido, fluido. L'amore sfrontato e impossibile, l'eros incestuoso o innaturale, si avvale della metafora liquida per esprimersi in versi di passione in cui il seme maschile è paragonato ad acqua di libagione, con dei livelli che perfino oggi sfiorerebbero la pornografia. In altri casi si raggiunge invece la stabilità.
La civiltà che più di tutte influirà il nostro modo di pensare, sta nascendo, va forgiata, va condotta all'interno delle mura cittadine e introdotta nello spazio dell'agorà. Esiste in forma embrionale, e chi la rappresenta forse ha profeticamente capito qualcosa. Il mito svolge diverse funzioni: preparatoria, propagandistica, educatrice, civilizzante e altre.
I viaggi di ritorno degli eroi, e i poemi che se ne occupano, "i Nostoi", sono ancora attuali. Ci dimostrano quante sfaccettature possa avere un semplice viaggio, se la si smette di interpretarlo com mero spostamento fisico o mezzo di acquisizione di dati ed esperienze.
La semplicità delle trame è solo apparente, e i tessuti più complicati risultano invece essere i più adatti a fare chiarezza una volta entrati nell'ottica del "raffronto parziale". Tutte le culture e le civiltà cosiddette hanno avuto uno scopo e una funzione ai nostri occhi, che le osservano dal presente. Successivamente le inseriamo in un continuum immaginario di ere ed epoche che chiamiamo con nomi più o meno convenzionali. Ciò non vuol dire che tali società, composte da individualità piuttosto rilevanti, non si rappresentassero ai loro stessi occhi nel medesimo modo. Questo non lo sappiamo, ma il mito ci aiuta ad intuirlo, e ad intuire il modo in cui proiettiamo la nostra immagine verso il nostro doppio nello specchio.

martedì 19 aprile 2011

Il paese reale 2: sogni e drammatici risvegli

Finalmente rientro in ballo, come disse Shirley Temple il giorno del suo ritorno sulla scena. Incantevole bambina, tutti quei riccioli, tutta quella diplomazia...
Pare che il presidente Obama non abbia più nessun sogno da "possiamo farlo". Il primo presidente nero degli Stati Uniti d'America, non ha perso solo il controllo del congresso , ma anche la faccia. Ma come? Non era meglio essere un presidente "epocale" che venire rieletto? Nemmeno l'espressione "ai posteri l'ardua sentenza", inflazionata per i politici off-sider, avrebbe senso, suonerebbe anzi come un ossimoro (pronuncia greca per favore).
Il vecchio comunista solitario e disilluso si aggira come uno spettro per l'Europa, meditando sulle questioni esistenziali che da secoli attanagliano la nostra anima, deturpando quel che resta della nostra primordiale innocenza aggressiva. Mangia-fotti-crepa è stato sostituito da Magniamiocreperaifottuto, e nel PIL c'è tutto tranne quello che rende la vita veramente degna di essere vissuta (cito un Kennedy grande, penso a un Sallusti piccolo piccolo). Pier Paolo Pasolini fu un uomo, nel senso che nell'età dei lumi a questo termine veniva probabilmente riconosciuto. Egli non conobbe il perdono, nemmeno per se stesso, e visse di dilemmi e contraddizioni, per essere dimenticato e riscoperto dopo un periodo di decantazione talmente lungo che chi lo riscoprì, dopo 30 anni, una malsana intellighenzia tutta italica, lo definì prontamente profetico e lungimirante.
I nostri intellettuali maggiori non si sono mai sottratti all'errore come condizione di umana natura, mi viene in mente Sciascia, ma portarono in loro il merito impagabile di essere stati dei grandi indagatori, in primis delle loro ignoranze (più piccole delle nostre, ma comunque esistenti, e dunque indagate). Già Svevo, in quello che per me è un capolavoro, insegna molto sul fallimento personale e quotidiano, accettato come un modus vivendi naturale, persino capace di portare obiettivi altrimenti impossibili. La costanza dello sconfitto lo porta a dei risultati che chi vince non sfiora nemmeno.
Ma questo non è il paese reale, quello è un altro e piuttosto che descriverlo, capirlo, o quantomeno"constatarlo", la nostra parte razionale inventa stanze con specchi deformanti, del tutto irrazionali. Se l'evoluzione del pensiero ci ha portato a quest'epoca, in cui il pensiero non ha più forme che non siano auto rappresentative, è perché miravano tutte troppo in alto.
Rappresentazione del vero fino all'iper-vero, conseguimento di diritti e libertà dal contenuto universalistico che non tennero conto delle diversità antropologiche delle cosiddette civiltà, ecc. Per carità, non voglio fare una critica alla Rivoluzione, o ai lumi, a ai romantici o a Hugo. Però...
Fra un secolo che nomi saranno dati ai nostri stili letterari, ai nostri gusti estetici e quant'altro? Il decadentismo può essere riproposto perché non prevede un limite di caduta, un punto zero insomma. Avevamo idee, sono diventate ideali e poi sono state ingabbiate dalle ideologie, che le ha messe in griglia. Così nella vita: sei piccolo e vuoi fare un mestiere, cresci e credi che quel mestiere possa aiutare te e gli altri, cresci ancora e credi che quel mestiere sia un meccanismo di una struttura che si muove verso qualcosa, e l'aiuta a muoversi. Infine invecchi e sai per certo che quel meccanismo, se esiste, non sta andando da nessuna parte, e se va, non hai idea di dove diavolo stia andando. Poi muori e il tuo epitaffio sarà: "Mangia-Fotti-Crepa (e non pagare le tasse)".
A questo punto tu, definito da Eco "Lettore Modello" dovresti chiederti: "Si ma Co, cacchio così non si capisce, o meglio io capisco, ma si potrebbe non capire di che parli" Vero. Voglio fare degli esempi. Argomento energie rinnovabili ovvero pulite ovvero alternative. A parte che ho scoperto da un articolo di "Le Monde" riportato da "Internazionale" che l'energia nucleare è anche un alternativa in quanto produce il 6% contro il 7% delle rinnovabili (cito a memoria, ma lo scarto è di uno),mi pare che le discussioni siano poste sempre e solo sotto l'aspetto economico. Taglio- profitto- bilancio- stop-. Sembra un telegramma.
Ma anche sotto questo aspetto, nessuno tiene conto del secondo aspetto, che è una conseguenza del primo aspetto. Capito? Ecco un prospetto:
Primo aspetto: qualità della vita (influisce sulla salute, non è "economizzabile" per uno Stato-Nazione, così come viene inteso da un politologo qualsiasi).
Secondo aspetto: salute (influisce sull'economia, ma è un altro principio su cui gli Stati moderni poggiano, in quanto costituzionalmente molti se ne fanno garanti nei confronti della collettività)
Terzo aspetto: Economico (finalmente si possono tirare i conti sul bilancio dello stato)
Quello che voglio dire è che una popolazione soddisfatta della sua vita, che respira aria pulita e si lava in acqua limpida, è un fine per uno Stato. Una popolazione sana è un altro fine per uno Stato. Poi viene l'economia. Ma probabilmente l'economia si gioverebbe di un minor numero di uscite in alcuni campi: ad esempio per contrastare l'insorgere di tumori dovuti a cause ambientali e/o alimentari, ovvero le malattie respiratorie, ovvero le patologie cardio-vascolari e altre cose che, ormai è inutile nascondersi, sono il frutto del nostro stile di vita, ma anche di un ambiente tossico che ci fa da cornice.
Se questi elementi venissero introdotti nel dibattito sul nucleare, anche io andrei a scrivere sul forum di Chicco Testa, ma qui si tratta di riabilitare Chernobyl o di avviare un dibattito serio?
Ultimo appunto, quello da comunista solitario con la spada e la mascherina di Zorro: i soldi ci sono per tutto e tutti, ma sono congelati in delle banche. In delle carceri per banconote, in delle gabbie dove chi è ricco tiene ciò che ha perché non potrebbe mai riuscire a spenderlo, e chi vuole fare affari (giustamente coi soldi degli altri) prende e disfa. La cosa bella è la raccolta capillare che le banche hanno messo a punto su tutto il territorio per non lasciare nemmeno un centesimo di liquidità ai Cristi della strada. Questa splendida politica basata sulla ricchezza di pochi e la povertà di quasi tutti ha un nome: "gocciolamento". Venne adottata da Reagan quando fu presidente degli Stati Uniti d'eccetera (di nuovo nel nuovo continente, così cerco di chiudere il cerchio). é facile da imparare: se chi è ricco diventa più ricco, è probabile che mangiando faccia cadere più briciole, perché ovviamente mangerà di più, i cani sotto il tavolo potranno quindi scodinzolare più veloce, perché la pappetta aumenterà.
Avrete già capito chi in Italia ragiona ancora così no? Tutti, dal numero uno a noi persone comuni, i Cristi di strada, d'altronde aiuta l'impresa e questa creerà posti di lavoro. Ma le cose sono andate diversamente. In Fiat ad esempio. Ma ci sono casi diversi, casi peggiori. C'è chi prende i soldi e scappa, come Woody, c'è chi prende i soldi ma è incapace, non sa fare il capitalista, non può sgocciolare. E quando se ne accorge cerca di prendere tutto quello che può, perché esistono grasse buonuscite per i "falliti d'elite", liquidazioni d'oro (come farà Geronzi a spendere la sua liquidazione in quei quattro o sei anni di vita che lo separano dalla morte biologica?), insomma, i Re Mida del capitale, senza capitale.
Sinceramente vostro Cosimino.
Post Scriptum: non rileggo, come d'abitudine, scusate per eventuali errori o discordanze.